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Estratto dalla
PRESENTAZIONE DI
LORENZO BEDESCHI A:
LA CHIESA ROMANA
di Ernesto Buonaiuti
Il Saggiatore, 1971
La prima esigenza di
chi si accinge a una rilettura di questo testo buonaiutiano - comparso circa
quarant'anni fa - dopo l'avvenuto sommovimento conciliare nell'ambito del
cattolicismo romano e quello cultural-politico nella vita europea è di
ricordare come e perché nacque, in quale genere letterario si colloca, da
che passione morale e religiosa uscì, quali sollecitazioni d'ordine
spirituale e politico lo determinarono, infine che cosa intendeva suscitare
nella coscienza dei credenti italiani a cui palesemente era destinato in
quel preciso momento storico.
Non c'è dubbio che, accanto a certi convincimenti di cui si dirà, agirono
sull'autore fatti esterni che, avendo ormai sconvolto il suo programma di
vita, influenzarono notevolmente non solo la sua posizione religiosa, ma
anche il giudizio sulla Chiesa del suo battesimo. La stesura infatti
coincideva con l'andata in vigore dei Patti Lateranensi fra governo fascista
e Santa Sede che per lui significarono la «spogliazione» dell'abito talare
prima in linea di principio (settembre 1930) e poi in linea di fatto a mezzo
del braccio secolare (ottobre 1931), la sospensione dall'insegnamento e
quindi la cancellazione dal ruolo universitario dopo il rifiutato giuramento
fascista (novembre 1931), le gravi difficoltà economiche in seguito al
perduto stipendio di professore rendendo fra l'altro precaria la
sopravvivenza della rivista alla quale soltanto poteva ormai affidare il suo
messaggio, le misure d'ordine pubblico messe avanti dalle Prefetture
d'accordo con le Curie locali che creavano seri intralci alla predicazione
«itinerante» intrapresa per un bisogno di nuovo proselitismo qua e là
in Italia e anche per procurarsi cespiti di sostentamento materiale.
Buonaiuti mise mano a questo saggio nel luglio 1931, cioè dopo la
prima scaramuccia poi ricomposta coi noti compromessi tra Fascismo e
Vaticano per via dell' Azione Cattolica. L'agonia del cristianesimo
di Unamuno circolava in traduzione italiana tra noi da cinque anni. In
Francia comparivano in questo periodo i Regards sur le monde actuel
di Valery e i Memoires di Loisy; in America Il lutto si addice ad
Elettra di O' Neil e Santuario di Faulkner. Nell'ottobre dello
stesso anno, a poco più di tre mesi, il manoscritto buonaiutiano si poteva
dire già terminato.
Un lavoro quindi di getto, nervoso, appassionato che esprimeva non tanto uno
stato d'animo contingente quanto una profonda inquietudine religiosa da
tempo contenuta e che forse quelle vicissitudini politiche dianzi ricordate
avevano fatto esplodere impetuosamente. La si poteva dire iniziata,
l'inquietudine, dopo la grave malattia del 1921 con la ricaduta nel 1928
allorquando l'incombente e ritornante prospettiva della morte lo aveva
distolto dagli esclusivi interessi culturalistici della fase giovanile e
universitaria; contemporaneamente si era affinata nelle riunioni comunitarie
di studio e meditazione nell'eremo di San Donato determinando in lui
un'esperienza religiosa più intima; infine s'era completata dopo la scoperta
di Gioachino da Fiore con una particolare percezione profetica ed
escatologica del messaggio evangelico che lo rendeva, di conseguenza, più
tenace nel perseguirlo e più libero nell'affermarlo secondo la concezione
che se n'era fatto.
Ecco, nell'ambito di questa complessa riflessione critica, Buonaiuti s'era
messo a scrivere La Chiesa Romana senza nemmeno preoccuparsi
dell'editore che probabilmente pensava di cercare in Francia, dove si
annunciava la rivista di Mounier, come un suo vago accenno lascia intendere
temendo forse di non poterlo trovare in Italia sotto il nuovo clima
concordatario.
Volle il caso che
l'ultimazione del saggio coincidesse col progetto - influendovi
probabilmente nella rapida realizzazione - di una iniziativa editoriale che
si stava preparando nell'ambito dell' Associazione Cristiana dei Giovani (ACDG)
d'ispirazione evangelica.
Il pastore
valdese A. Sibille che ne era il presidente, lo stesso che aveva
incoraggiato Buonaiuti a scrivere quel saggio e a offrirgli l'insegnamento
in quella triste contingenza nella sezione romana, glielo comunicò.
Tale progetto, caldeggiato da due giovani milanesi,
mirava a rilanciare fra il pubblico italiano una libera problematica
religiosa - implicitamente legata a una
generica matrice antifascista - per «l'educazione dello spirito». Si era
allora alla prima affermazione elettorale del Partito Nazista in Germania e
da noi il fascismo inaugurava la mostra del decennale, mentre Croce
pubblicava la sua Storia d'Europa.
Quei due giovani, di confessione evangelica,
appartenevano alla sezione milanese dell'Associazione, uno di essi anzi ne
era il promotore. Si chiamavano l'uno Ferdinando Visco Gilardi e l'altro
Fausto Noto. La nuova casa editrice pertanto si denominava «Gilardi e Noto»
con sede a Milano e una propria libreria commerciale in piazza del Duomo
dentro il palazzo dell'Hotel Metropolitan.
Buonaiuti fece pervenire al giovane
direttore Visco Gilardi un breve sunto del suo manoscritto, già pronto, che
fu naturalmente subito accettato sia per il contenuto critico-religioso in
perfetta linea con la «Collana delle idee» che la nuova editrice intendeva
istituire, sia per la serietà e notorietà di quel nome ritornato tanto
spesso nella polemica antecedente e susseguente ai Patti Lateranensi.
Così La Chiesa Romana
inaugurava l'attività della nuova editrice e diventava il primo titolo di
quella collana programmata che intendeva essere «una raccolta di opere
formative piuttosto che informative, tali cioè da lasciare per ogni singolo
argomento un'impronta nelle coscienze. Libri di sana cultura estranei a ogni
dilettantismo e improvvisazione come a ogni distillata accademia».
Alle «ragioni
di lucro» e all'«amore del mestiere» si anteponevano espressamente esigenze
critiche verso «ideologie assolutamente inaccettabili», facilmente
identificabili non solo nell'imperante filosofia gentiliana ma altresì nel
regime. E in ciò non si poteva non riconoscere quell'influenza buonaiutiana
che con più chiarezza appariva nell'appello finale della programmatica
premessa editoriale: «È tempo ormai che i valori dello Spirito
si ricompongano nella propria struttura ideale e ridiventino capisaldi di
certezza per le coscienze e lievito morale per le azioni».
II volume di Buonaiuti compariva nelle librerie nel dicembre 1932, cioè a
distanza di più d'un anno dalla compilazione. Adriano Tilgher lo segnalava
una settimana dopo con una recensione, che lo stesso Buonaiuti riconosceva
«veramente magnifica», su «Il Lavoro» di Genova. Subito dopo ne parlava
anche «La Stampa» di Torino e poi tutta la periodicistica italiana. A un
mese circa dalla pubblicazione il Sant'Uffizio «con una sollecitudine
fulminea difforme da tutte le consuetudini della sua procedura tardigrada e
anacronistica», secondo la frase di Buonaiuti, lo iscriveva fra i libri
proibiti.
Nel giro di 40 giorni si esaurivano le prime duemila copie, sicché gli
editori preparavano subito una seconda ristampa altrettanto fortunata e tre
mesi dopo una terza di duemila copie ciascuna. Mai, fino allora, libro
buonaiutiano aveva conosciuto un simile successo di vendita in così breve
tempo.
All'inatteso successo avevano certamente cooperato soprattutto cause
estranee allo specifico fatto religioso, anche se Buonaiuti si illudeva del
contrario, quali la curiosità suscitata dal nome dell'autore in seguito al
rifiutato giuramento fascista, il suo anticonformismo ufficiale che lo
rendeva simpatico a non poche intelligenze libere e antifasciste,
l'interesse per la sua problematica da parte dell'Associazione Cristiana dei
Giovani con l'inevitabile entourage di relazioni e interessi politici
improntati a una critica dottrinale della Chiesa cattolica e infine la
condanna del Sant'Uffizio i cui decreti a quell'epoca suscitavano ancora
scalpore.
Più che legittimo tuttavia lo stupore per il successo, dato che solo una
esigua minoranza partecipava allora a certe problematiche religiose, come
del resto era avvenuto durante la crisi modernista d'inizio secolo. |
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