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Scritti politici - (senza data)

Il Campo di Concentramento di Bolzano ed i collegamenti esterni
(dal rapporto personale di Ferdinando Visco Gilardi “Giacomo”)

La mia attività clandestina ebbe prevalentemente attinenza con il "Polizeiliches Durchgangslager" di Bolzano. Fu solo nel settembre del ‘44 che iniziai il mio lavoro. Come ebbi a rilevare in altro luogo di questa pubblicazione, le condizioni d'ambiente della nostra città non erano tali da favorire la formazione di correnti e gruppi dalla cui reciproca azione e reazione traesse origine e ai ??? potenziasse una rete di conoscenze stabile e duratura. Le conoscenze locali erano, generalmente, quasi del tutto esteriori e, per quanto mi concerne, debbo confessare che non avevo, infatti, dopo quattro anni di permanenza a Bolzano, contratto rapporti personali degni di qualche rilievo e consistenza. Da ciò, in gran parte, dipese la circostanza che alquanto tardi potei stabilire quei contatti che mi impegnarono nella comune azione della lotta antifascista. Debbo, anzi, a questo proposito aggiungere che gli incontri ch'ebbi con gli elementi della clandestinità a Bolzano, furono promossi in seguito a segnalazioni fornitemi altrove. Vorrei ora accennare ai casi più salienti in relazione a quel poco ch'io feci e in connessione con quanto altri operarono nel corso degli ultimi mesi prima della liberazione.
Per ragioni d'ufficio, dovetti recarmi a Verona ai primi di settembre del '44 e per puro caso incontrai in piazza Bra l'amico Lelio Basso (ora membro della direzione del partito socialista) al quale mi legavano antichi vincoli d'intesa ideologica e di comuni interessi culturali. Non lo vedevo da circa quattro anni, dall'epoca in cui lasciai Milano per stabilirmi in Alto Adige. Lo scorsi a distanza e lo chiamai per nome. Fu per lui una brusca e sgradita sorpresa non già l'avermi potuto incontrare, ma il vedersi da lontano riconosciuto e nominato, lui da tempo ricercatissimo e costretto ad occultarsi per sfuggire agli agguati della sbirraglia repubblichina. Era insieme con "Somma" del P.d'A. e appartenente, accanto a Ferruccio Parri al comando del C.V.L.
Esternai loro il proposito di "lavorare" per quanto poteva esser compiuto a Bolzano. Basso mi chiese se fossi disposto a occuparmi dell'assistenza al Campo di concentramento limitata, inizialmente, ad un ristretto gruppo d'internati di sua conoscenza e coi quali avrei potuto stabilire un collegamento sicuro da cui partire per ulteriori sviluppi nell'ambito assistenziale. Beninteso accettai. In questa circostanza appresi da Somma che il Dott. Manlio Longon della "Magnesio" operava clandestinamente in Alto Adige e mi fornì di qualche ragguaglio, circa i loro rapporti, affinché io potessi servirmene per rassicurare il Longon nel caso io avessi avuto bisogno di appoggiarmi a lui per il lavoro che avrei intrapreso.
Questa informazione mi tornò del tutto inaspettata in quanto già conoscevo il Longon, ma non certo sotto quel profilo. Tuttavia, per quanto utile potesse apparirmi questo riferimento 'in loco', chiesi e ottenni da Basso l'indicazione d'altri non meno utili "posteggi" a Milano, ove deliberavo recarmi, come, infatti, feci in seguito. Seppi dell'esistenza del "Comitato" e del "Comando militare". Da essi mi sarebbero provenuti i fondi per iniziare la mia attività a cui intesi imprimere un indirizzo autonomo entro consentiti e opportuni limiti.
Di ritorno a Bolzano, attesi la venuta dell' "emissario" che Basso promise di mandarmi. Giunse, infatti, di lì a non molto in figura e sembianze femminili. Ricevetti i primi nomi di coloro che, entro il Campo, già operavano con intelligente accorgimento a favore dei compagni di prigionia. Ne ricordo qui tre: la dottoressa Ada Buffulini, Laura Conti e il Dr. Bartellini. Quest'ultimo, figura esemplare di uomo e di studioso, lasciò la propria vita in Germania. Con Ada e Laura mantenni costante collegamento fino al 19 dicembre, epoca del mio arresto, e dopo, quale compagno d'internamento, fino alla liberazione, avvenuta il 30 aprile. Appresi dall'amica venuta da Milano che Rocco Biamino era già in rapporti con Ada. Andai poi da lui e da Longon dai quali mi furono fatti i nomi d'altre persone di cui, a Bolzano, avrei potuto giovarmi per l'adempimento degli scopi che tutti noi perseguivamo. Fu in tal modo che, dall'esterno, venni immesso nell'ambiente cospirativo di Bolzano al quale, per le ragioni sopra menzionate ero rimasto fin'allora estraneo.
"Firmino" (la compagna di Milano) mi fece conoscere un installatore di un'impresa di Merano chiamato Bruno il quale, recandosi giornalmente nel Campo per attendere ai lavori che ivi la propria ditta eseguiva, riusciva a introdurre nel chiuso del recinto e a consegnare agl'interessati missive, danaro e oggetti come pure altrettanto s'incaricava di portar fuori. Di lui mi servii per un buon tratto di tempo dopo che, rimpiazzato nei lavori da un fidato collega, mi valsi delle prestazioni di quest'ultimo.
Ancora in quel tempo la sorveglianza al Campo, per quanto rigorosa, non rivestiva un carattere insopportabile e spietato come in seguito si verificò. Le fughe erano sporadiche e non numerose. Sotto il generico termine di "assistenza" i compiti inerenti erano da intendersi in un modo alquanto estensivo, vale a dire, che l'assistenza vera e propria doveva esser quella attinente alle fughe.
Riprendo la narrazione dei fatti con riferimento al punto in cui avvertivo come non fossero, all’inizio del mio lavoro, ancora in atto misure draconiane tali da rendere estremamente difficili i tentativi d'evasione. Occorreva quindi giovarsi dello stato di cose relativamente favorevole per promuovere o incoraggiare le determinazioni alla fuga.
Feci sapere all'interno del Campo, con una missiva alquanto sibillina, che su me si poteva contare per le operazioni connesse ai trasferimenti in zone più salubri. Io ero, infatti, già "segnalato" da Milano, ma non si sapeva se fossi stato disposto ad affiancare iniziative del genere.
In seguito alla pervenuta mia comunicazione fui avvertito da Ada che "Gigi" (Luigi Cinelli) aveva deciso. Era però necessario che m'incontrassi con lui per convenire quando e come effettuare il "colpo". Progetti di tal natura era bene non affidarli alla carta. Avevo, sì, a disposizione l'inchiostro simpatico, ma il suo uso tornava praticamente utile nelle comunicazioni brevi e non già quando, come nel caso in questione, bisognava, dilungarci in non superflui particolari. Dopo non pochi contrattempi ed altrettanti rinvii, m'incontrai con il Cinelli. Sorvolo, per brevità, a descrivere come potevamo a vicenda riconoscerci non essendoci mai visti prima d'allora. Egli poté aggregarsi ad una squadra d'internati che uscivano giornalmente al lavoro. Luogo di ritrovo le cosiddette "villette" site in via Piacenza. Erano queste delle case in via d'ultimazione e riservate ad alloggi per le SS. Riuscii a introdurmi nel recinto avvicinandomi a "Gigi" il quale attendeva dietro una casa. Ebbene, nel tal punto, di lì a due giorni, si sarebbero appoggiate due biciclette. A qualche distanza una staffetta. Mi raccomandai che nella fuga, non dimenticasse la casacca, ma ne facesse un pacchetto da portarsi dietro. I cani poliziotti avrebbero potuto seguire la pista.