|
Scritti
- 1965
Articolo
pubblicato
su
VOCE EVANGELICA – aprile 1965
mensile delle Chiese Riformate Svizzere
Chiesa parrocchiale e chiesa confessante
Milano, 20 ottobre 1964.
Ho letto con interesse le «impressioni» sul Convegno di Magliaso di
Guglielmo Tagliarini riportate sul foglio di «gioventù» (n. 11, ottobre
1964).
Al fondo della questione, oggetto del dibattito del Convegno e delle
considerazioni fatte dall'estensore dell'articolo, vi è la constatata
insufficienza e inadeguatezza delle chiese a corrispondere alle esigenze di
verità e di vita del mondo moderno. I giovani, in modo più acuto, avvertono
che l'opera delle chiese non penetra (come potrebbe e dovrebbe) nel processo
di svolgimento del mondo attuale, non offre (non «dà») quel che abbisogna
affinché le istanze più vive (motrici) della vita associata contemporanea
avvertano che la Chiesa è «presente» nella lotta per l'avanzamento
degli uomini secondo finalità di libertà e giustizia.
Si è chiesto se è ancor oggi valida l'opera religiosa della parrocchia e già
tale domanda voleva implicitamente concludere con una ammissione negativa
per cui ci si è richiamati - per uscir fuori dalla stasi incombente - al
valore che assumerebbe, nelle condizioni attuali, la presenza della chiesa
«confessante».
Tutti sappiamo come sorse in Germania per opera di Martin Niemoeller,
durante l'oppressione nazista, la «bekennende Kirche» e quale fu la sua
eroica lotta contro l'istituirsi, dall'alto, della chiesa (protestante) di
Stato. Nell'affermazione della sovranità di Dio sull'uomo, la «Chiesa
confessante», in quel momento, rappresentava la «vera» chiesa in antitesi
con quella ufficiale (che, peraltro, raccoglieva il maggior numero di
acquiescenti fedeli).
Il precedente storico della «Chiesa confessante» ha forse dato modo ai
giovani convenuti a Magliaso di comprendere come, pur nelle mutate
condizioni di tempo e di luogo, un impegno di lotta e di rinnovamento
cristiani divenuti un fatto imprescindibile se si vuole che le cose
realmente cambino.
«Una situazione religiosa è quindi sempre la situazione di una società»,
sosteneva già un quarantennio fa Paul Tillich. In questo ambito bisogna
muoversi e di qui partire. Partire per trasformare, dall'interno, e
denunciare ciò che alla coscienza religiosa appare iniquo nelle condizioni
presenti della vita associata.
Ma sarebbe tuttavia un errore ritenere che una neo chiesa «confessante»,
espressione conseguente dell'«apostolato dei laici», debba oggi considerarsi
su un piano di rottura rispetto alla parrocchia. La chiesa
«parrocchiale» non può essere reputata come un qualcosa di «superato»
rispetto ai tempi che corrono. Il suo ufficio è quello di sempre: di
carattere liturgico-cultuale in cui la predicazione avrà una maggiore o
minore efficacia secondo chi sarà il ministro della parrocchia oltre a chi
sono i componenti della comunità.
La chiesa «confessante» deve nascere dalla stessa parrocchia come presenza
nel «mondo» della chiesa indifferenziata, come azione di «tutta» la
Chiesa. E' al laicato che maggiormente compete tale presenza poiché i laici
sono quelli che in più larga misura sono in diretto contatto con i settori
«profani» della vita di ogni giorno. E' certo che non tutti gli appartenenti
di una parrocchia avvertono tale esigenza (all'infuori di una generica
correttezza e onestà il che, dopo tutto, non è poco) di porsi
responsabilmente in posizione «critica» rispetto ai molti connotati
deteriori del mondo contemporaneo (e non solo quelli del «costume»), come
pure d'essere sollecitati a intimamente solidarizzare con correnti e con
idee che, pur non essendo sorte dalle chiese costituite, rappresentano
aspetti di « verità » e di progresso spirituale (e sociale).
C'è quindi d'affermare la non contrapposizione di chiesa «parrocchiale» e
chiesa « confessante » quando questa ultima non intende affatto porsi come
una « nuova » chiesa istituzionalmente intesa. La chiesa «confessante»,
ammesso che con questo termine attribuiamo un valore non concorrenziale con
la parrocchia come tale, deve essere un fermento vivo sia nell'ambito della
comunità alla quale si appartiene, sia nella vita di ogni giorno nel mondo
(nella presente società).
Coloro che sono animati da tali propositi, troveranno alleati dentro e
fuori alle chiese. Essi debbono operare nella situazione concreta
e chiamare le cose con il proprio nome senza essere irretiti da
pregiudiziali religiose di natura « ideologica ». Il Vangelo non vale solo
per quello che di esplicito contiene, ma anche per quanto d'implicito
esso tende a rivelare, e rivela. La ideologia non è la verità e a noi
cristiani compete oggi l'obbligo di cogliere la verità nelle cose del mondo
quand'anche questa possa esser affermata da coloro che « cristiani» (di
nome) non sono.
Tutto ciò che non contrasti con l'assunzione morale e rigenerante del
Vangelo, deve essere dalla chiesa «confessante» fatto proprio.
Le piccole comunità evangeliche di lingua italiana (con scarsi mezzi e senza
che ancora si sia in pieno attuata una organica azione comune), possono,
comunque, essere le apportatrici di una tematica nuova se alcuni laici, ed i
giovani in special modo - non in opposizione all'opera ecclesiastica dei
ministri —, sentiranno il loro impegno di valersi di ogni opportunità (e
secondo i doni d'ognuno) per essere attivamente presenti nel «secolo»,
interpreti intelligenti della realtà affinché la stessa venga ad essere
trasformata.
Ferdinando Visco-Gilardi |
|