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Scritti politici - 1947

I comunisti e i rapporti fra Stato e Chiesa

Chi pone mente all’esito della votazione concernente l'articolo 7 della Costituzione e raffronta i 350 voti favorevoli ai 149 contrari, può esser indotto a ritenere che i comunisti, qualora avessero creduto tenere diverso atteggiamento (in conformità a quanto era presumibile attendersi dalle proprie premesse ideologiche), avrebbero potuto operare quell'unico e solo spostamento di forze tale da far precipitare in opposto senso il risultato a cui s'è pervenuti. Ma da simile constatazione, possono i difensori della tradizione laica accusarci di doppiezza di calcolo opportunistico, di deteriore machiavellismo? Qui sta il punto che vogliamo chiarire.
Che cosa si vuol intendere per pace religiosa? - Da parte democristiana l'invocazione connessa in tali parole, poggia sopra un equivoco e rivelava una minaccia. De Gasperi, nella sua dichiarazione di voto, ha voluto fare una precisazione statistica secondo cui in Italia i cattolici rappresentano il 996 per mille dell'intera popolazione. Ma ciò, men che giustificare la legittimità del richiamo ai Patti lateranensi nel testo della Costituzione, vuol essere un'alterazione del fatto, inoppugnabile, che anche coloro che si son pronunciati o che potrebbero pronunciarsi per un diverso regolamento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, nella gran maggioranza, sono pur essi cattolici. Questo sta a dimostrare ch’essendo in Italia tutti o quasi tutti cattolici, ci sono fra costoro moltissimi che non la pensano esattamente, sul problema in questione, come i democristiani i quali, d'altra parte, s’avvalgono dell'entità numerica rappresentata da quelli per affermare un principio sul quale non tutti i cattolici, in quanto tali, possono ritenersi d’accordo. E qui sta l’equivoco.
Chi poi ha seguito la stampa cattolica in quest’ultimo periodo (non escluso l’organo vaticano), non ha potuto fare a meno di dedurre dall'irriducibilità della posizione cattolica nei confronti dell'art. 7, quanto la pace religiosa sarebbe stata compromessa da quegli stessi che la invocavano qualora l’inserimento dei Patti non fosse avvenuto. E qui stava la minaccia.
Quale doveva esser la risposta dei comunisti di fronte aduna situazione che si profilava come conducente ad una frattura nel Paese ? Una frattura, peraltro, che non si sarebbe determinata perché una diversa formulazione dell'articolo avrebbe potuto offendere il sentimento religioso dei più; ma che certamente sarebbe stata voluta, provocata e attuata da tutti coloro che hanno l’interesse ed anche la possibilità (se s'offre loro il fianco) di spezzare lo schieramento democratico della nazione. Le forze antidemocratiche si riservavano di spostare la lotta sul terreno religiosa allorquando si fosse presentata l'occasione. "E da questa situazione che esiste oggi, noi Partito Comunista. non possiamo prescindere. Dobbiamo tener conto delle condizioni di fatto e dobbiamo adeguare la nostra posizione a queste condizioni. Essenzialmente noi votiamo tenendo conto della nostra r e s p o n s a b i l i t à”.
Questa è la risposta data da Togliatti nel suo ultimo discorso all'Assemblea Costituente.
Di fronte alla reale situazione del Paese, non ancora democraticamente consolidatosi, ed in vista dell'enorme lavoro di ricostruzione e rinnovamento che ci sta innanzi,non era consentito avviarci su un terreno che avrebbe forzatamente assunto un carattere di lotta religiosa. Nell'interesse soprattutto della classe lavoratrice, non appariva questo il momento più indicato per ingaggiare una battaglia che avrebbe sottratto le indispensabili energie alla più sollecita edificazione materiale e morale della nazione. Tale constatazione sta a rivelare il senso che attribuiamo alla nostra responsabilità di comunisti. Altro, quindi, è stato il nostro contributo alla causa della pace religiosa (che non quello degli amici democristiani) la quale sarebbe venuta a mancare proprio a motivo di quelli che se ne fecero banditori se l'esito della votazione avesse avuto altro indirizzo. Abbiamo dimostrato, anche in questo caso, di saper sacrificare qualcosa nell'interesse del Paese.
Tuttavia, ella decisione presa sarebbe grave errore ravvisare l'abbandono da parte nostra dei principii su cui è fondata la libertà religiosa nella sua più ampia accezione. Le istituzioni che noi rivendichiamo e che aprono al popolo le vie dell’autogoverno, non potranno mai fondarsi sui presupposti di uno Stato non diciamo confessionale, ma pur anche semi-confessionale.
È necessario, nella vita politica, aver sempre la nozione del limite per poter esser in ogni caso idonei a operarne successivamente il superamento nell'atto in cui le proprie forze le condizioni obiettive lo potranno permettere. Ciò, s'intende, in vista non di vantaggi particolari, ma di quelli generali per l'avanzamento democratico del Paese di cui le masse lavoratrici costituiscono l'apporto più cospicuo.

f.v.g.

dicembre 1947