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Estratto da:
Dizionario della Resistenza
A cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi
Volume primo
Storia e geografia della Liberazione

CARLO ROMEO - LEOPOLD STEURER Bolzano e Alto Adige

I venti mesi della Zona d'operazione delle Prealpi (Zop). Le ordinanze del commissario supremo (reintroduzione del tedesco nella toponomastica e nell'amministrazione, riaggregazione alla provincia di Bolzano dei comuni di Livinallongo e Ampezzo e di quelli della Bassa Atesina, proibizione della ricostituzione del Partito nazionale fascista (Pnf), severa regolamentazione nella Zop della mobilità di persone in entrata e in uscita, chiusura e sequestro della stampa cattolica di lingua tedesca, limitazione nella circolazione della stampa italiana, ecc.) interrompono nei fatti qualunque contatto con il resto d'Italia, pur con l'alibi delle necessità militari. Nasce un movimento fascista clandestino che tiene contatti con Salò (Ufficio zone alpine, retto dal conte Casalini e poi da Antonio Bonino) con questi obiettivi: informare Mussolini degli effetti annessionistici che avevano le ordinanze di Hofer; sollecitare dichiarazioni ufficiali sull'italianità della Zop; costituire una brigata Alpina, formata dalle leve italiane della provincia ed evitarne cosi l'arruolamento nelle forze armate germaniche. In realtà anche sulla stampa di Salò cadde un velo di silenzio sulle due zone di operazioni.
Nella gestione del suo "regno" Hofer fa ricorso di volta in volta al consenso o al terrore. In Alto Adige per la popolazione sudtirolese la restituzione dello spazio (negato dal fascismo) alla cultura popolare e alle sue organizzazioni (dalle bande musicali, agli Schützen, alle associazioni giovanili ecc.) viene vista da molti come una forma di rinata autonomia culturale. Tali spazi sono ovviamente strumentalizzati ai fini della guerra e della propaganda. E dove a nulla può il compenso ideale, Hofer cerca il consenso con vantaggi materiali. Con un'ordinanza del dicembre r943 i salari dei lavoratori dell'industria, del commercio, dei servizi pubblici e del ramo bancario vengono aumentati del trenta per cento. Ciò tende soprattutto a evitare malcontenti nella zona più "calda" della provincia, ovvero tra i lavoratori della neonata zona industriale di Bolzano, importante per la produzione bellica, in cui sono diffuse "cellule" fortemente politicizzate.
L'effettivo esercizio del potere, nonostante la facciata "bilingue", passa in ordine gerarchico ai Kreisleiter, i sindaci commissariali che sostituivano i podestà fascisti, e al loro apparato burocratico (ricalcato sulla struttura del partito nazionalsocialista). Nei vari campi dell'economia vennero insediati dei Kommissarische Leiter (gerenti), nelle cui mani stava il destino delle ditte e imprese commerciali, industriali, bancarie e artigiane.
L'istituzione della Zop non risparmiò l'esperienza degli aspetti più brutali dell'occupazione nazista. Circa trenta appartenenti alla comunità ebraica di Merano, rimasti ancora in provincia dopo l'emanazione delle leggi sulla razza del 1938, sono i primi ebrei deportati dall'Italia (12 settembre), anche in virtù dell'attiva collaborazione di elementi locali, peraltro mai processati nel dopoguerra. Di loro tornerà solo una donna dai campi di sterminio.
Nel luglio 1944, dopo la chiusura di quello di Fossoli, viene installato alla periferia di Bolzano (via Resia) un Durchgangsiager (campo di transito), gestito dalle SS, che funzionò sino alla fine dell'aprile 1945. Vi passarono. almeno undicimila prigionieri (partigiani, ostaggi, ebrei, zingari) destinati alla deportazione in Germania e si verifìcarono molti episodi di sevizie ed esecuzioni sommarie. E da ricordare poi l'attività del Tribunale speciale (Sondergericht) di Bolzano, che dal novembre 1943 alla fine della guerra decreta più di trenta condanne a morte per partigiani italiani e renitenti e disertori sudtirolesi. Nel gennaio del 1944 il commissario supremo emana l'ordinanza di arruolamento di tutti gli uomini abili delle classi 1894-1926. Nel caso dei Dableiber (cittadini italiani) ciò avviene in contrasto col diritto internazionale. Per i casi di obiezione di coscienza e la diserzione è previsto l'arresto dei familiari (Sippenhaft). Ciononostante in Alto Adige saranno più di trecento i disertori sudtirolesi.
Vengono costituiti i reggimenti di polizia Bozen (dicembre '43), Alpenvorland (settembre '44), Schlanders (novembre), Brixen (ottobre), impiegati soprattutto nella lotta antipartigiana nel Bellunese e nel Feltrino. Furono trentadue soldati dell'XI compagnia del 3° battaglione del Bozen, in addestramento a Roma, a cadere nell'attentato di via Rasella.
Nonostante la provincia non sia direttamente interessata da operazioni belliche, nei venti mesi della Zop le sofferenze delle popolazioni civili si fanno sempre più pesanti. Oltre alle prestazioni di guerra e alle requisizioni (per i contadini bestiame e viveri), pesanti conseguenze hanno i tredici grandi bombardamenti aerei su Bolzano, miranti a colpire la linea ferroviaria del Brennero, di vitale importanza per i rifornimenti alle truppe d'occupazione in Italia e che causano più di duecento morti e la distruzione o il danneggiamento di un terzo degli edifici.

Il Cln dell'Alto Adige. L'attività del Cln altoatesino comincia all'inizio del 1944. Espressione della Bolzano dirigenziale e impiegatizia, stenta a imporre inizialmente il proprio ruolo di guida sulle cellule autonome delle fabbriche. Proprio il "canale delle fabbriche", e cioè i trasporti quasi quotidiani tra le case madri milanesi e torinesi e gli stabilimenti bolzanini, risulta importantissimo per i collegamenti con il Cln Alta Italia Clnai (materiale di propaganda, denaro, entrate e uscite clandestine). Guidato da Manlio Longon (Pda), don Daniele Longhi (Dc), Andrea Mascagni, Enrico Pedrotti e Rinaldo Dal Fabbro (Pci), il Cln altoatesino cerca non solo di rappresentare i partiti democratici italiani, ma di coinvolgere antinazisti sudtirolesi attraverso contatti con l'imprenditore Erich Amonn (che sarà nel dopoguerra fondatore e primo presidente della Südtiroler Volkspartei). Vista l'impossibilità di organizzare formazioni armate per la mancanza di un retroterra favorevole, l'organizzazione è attiva specie nell'azione di propaganda clandestina, soprattutto nei contatti con la Resistenza trentina, veneta e lombarda e, dal luglio 1944 in poi, nell'assistenza agli internati del lager di Bolzano.
I Cln di Milano e di Padova inviano ripetutamente (tramite Enrico Serra) denaro e materiale per l'assistenza e l'organizzazione di fughe, opera in cui si distingue Ferdinando Visco Gilardi.
I tentativi di azioni belliche da parte del Cln bolzanino, in particolare il reperimento di esplosivo; hanno tuttavia esito sfortunato. Il gruppo di sette operai guidati da Walter Masetti viene arrestato e morirà a Mauthausen. Nel dicembre 1944 l'intero gruppo dirigente del Cln di Bolzano viene individuato dalla Gestapo. Durante i duri interrogatori del maggiore del sd August Schiffer (condannato a morte dagli alleati nel 1947) muore per sevizie lo stesso Longon. Qualche mese prima dal terzo piano del IV corpo d'armata, sede degli interrogatori, si era gettato il conte Giannantonio Manci, animatore della resistenza trentina.

La liberazione. Ogni attività clandestina cessa, o quasi, fino all'arrivo,  agli inizi dell'aprile 1945, di Bruno De Angelis, inviato dal Clnai (esattamente dalle Fiamme verdi) per organizzare il passaggio dei poteri in vista della resa tedesca. De Angelis ricostituisce il Cln provinciale (con Luciano Bonvicini responsabile politico e Libero Montesi, «capitano Franco», come responsabile militare), recluta e inquadra militarmente ogni forza disponibile. Si tratta soprattutto di operai della zona industriale di Bolzano e di appartenenti a una formazione giovanile autonoma definitasi «apolitica», di tendenza nazionalista, la brigata Giovane Italia, che ha avuto contatti con la X Mas (da cui aveva ricevuto un carico d'armi).
Le trattative di De Angelis con i comandi germanici (generale Heinrich von Vietinghoff, comandante del Gruppo armate sud-ovest) si intrecciano con quelle che il generale Karl VVolff (comandante in capo delle SS e plenipotenziario della VVehrmacht - Forze armate tedesche - in Italia) da tempo sta svolgendo coi servizi segreti degli alleati in Svizzera. Tra diverse altre missioni dell'Office of Strategic Services, un ruolo particolare nelle trattative altoatesine ha la missione Norma (del capitano Cristoforo De Hartungen), che permette qualche contatto con il generale Clark. Il Gauleiter Hofer, deluso nella sua richiesta di poter costituire un Tirolo indipendente sotto la sua autorità, denuncia le trattative in corso a Kesselring. Ma ormai è troppo tardi. Il 29 aprile 1945 a Caserta viene firmato l'armistizio, che dovrebbe entrare in vigore il 2 maggio. Nel frattempo De Angelis insiste per il passaggio dei poteri militari e civili nella provincia al Cln. Vietinghoff preferirebbe attendere l'arrivo degli alleati, accogliendo le richieste di Erich Amonn e del prefetto Karl Tinzl. Quest'ultimo, proprio in quei giorni, è stato contattato dal capitano Henri Clairval, un ufficiale dei servizi segreti francesi in missione a Bolzano, che assicura la buona disposizione da parte della Francia riguardo a un ritorno della provincia all'Austria (Clairval verrà in seguito allontanato dagli americani).
La situazione precipita col verificarsi di scontri sanguinosi. A Merano il 30 aprile, dopo un vano tentativo di occupazione del municipio, un corteo di italiani che festeggia la notizia delle insurrezioni nelle città del Nord Italia viene disperso a fucilate, col bilancio di nove morti e una decina di feriti. A Lasa il 2 maggio sono fucilati nove operai italiani della Todt. A Bolzano, secondo un accordo temporaneo concluso la sera del 2, il pattugliamento di depositi, caserme, strade dovrebbe essere misto, cioè di partigiani e militari tedeschi. In quel momento l'organigramma delle forze partigiane, quale risulta dai documenti disponibili, dalle testimonianze e dalla memorialistica, è alquanto confuso. Oltre alle tre formazioni Bari, Livorno e Pasubiana che, sotto la guida di Libero Montesi, costituiscono la divisione Alto Adige, vi sono infatti la già menzionata brigata Giovane Italia (Gino Beccaro) e numerose formazioni nate dalle cellule autonome della zona industriale. Proprio nella "zona" hanno inizio gli incidenti che insanguinano la mattina del 3 maggio. Le cause sono da ascriversi in primo luogo alla confusione nei comandi delle truppe della VVehrmacht in caotica, ritirata verso il Brennero (sparatorie lungo la strada statale e vicino alla ferrovia); in secondo luogo, alla mancanza di coordinamento all'interno delle varie formazioni partigiane (tentativo di disarmo delle sentinelle tedesche nella zona industriale); infine, a vera e propria rappresaglia da parte germanica (presso lo stabilimento Lancia). Il numero dei morti assomma a venticinque partigiani e venti civili. Mentre ancora in città si spara VVolff e Vietinghoff firmano il documento in base al quale Bruno De Angelis assume l'amministrazione della provincia in nome del governo italiano. Si compie cosi un primo significativo passo verso il mantenimento del Brennero da parte dell'Italia.

La resistenza tedesca. Quando, dopo 1'8 settembre 1943, i principali esponenti dei Dableiber sono costretti a fuggire (come il canonico Michael Gamper) o sono addirittura deportati (come Friedl Volgger), le redini dell'organizzazione Andreas Hofer Bund (ahb) vengono prese in mano dal giornalista Hans Egarter. Questi si preoccupa dell'organizzazione dell'ahb nel difficile contesto locale, dell'assistenza ai perseguitati e dei contatti con gli alleati. Attraverso la Val Venosta riceve e manda informazioni ai servizi segreti alleati in Svizzera (McCaffery) tramite corrieri. Nel marzo del 1945 si preparano in Val Venosta le basi di appoggio per un progettato lancio di paracadutisti francesi, nell'evenienza che i tedeschi si trincerino nel cosiddetto «ridotto alpino». Gli avvenimenti successivi vanificano tale progetto.
Dopo l'ordinanza di arruolamento del gennaio 1944, cresce il fenomeno della diserzione e dell'obiezione di coscienza. Un caso particolare è quello della Val Passiria, in cui un consistente gruppo di disertori armati (la cosiddetta banda Gufler), in contatto con Egarter, costringe a una posizione difensiva i nazisti e la sod locale, vendicando con furti, incendi e omicidi gli arresti e le persecuzioni ai danni delle famiglie dei disertori. Nel dopoguerra alcuni di questi giovani saranno processati e assolti in un primo tempo (Bolzano, 1949), in seguito condannati in appello (Trento, 1951) da una sentenza che negherà loro la qualifica di partigiani (come nel caso di Johann Pircher).
Generalmente la matrice cristiana dell'opposizione sudtirolese al nazismo è evidente non solo nella diretta partecipazione del clero, ma nel significato di "testimonianza" che hanno numerosi episodi. Tra questi spicca quello di Josef Mayr Nusser, presidente diocesano della Gioventù cattolica di Bolzano, anima del movimento dei Dableiber e fondatore dell'ahb nel 1939. Arruolato a forza nelle SS nel 1944, rifiuta di prestare il giuramento al Führer, per motivi religiosi. Nella deportazione a Dachau, muore di fame in un vagone blindato. Altro episodio degno di menzione è quello del reggimento Brixen. Composto di numerosi Dableiber, durante la cerimonia del giuramento (febbraio 1945), di fronte al Gauleiter Hofer, tace compatto al momento di pronunciare la formula. Viene disarmato e inviato per punizione sul fronte orientale, in Slesia.
Legata in qualche modo all'attività dell'ahb è la pressione esercitata, tramite Erich Amonn, sul prefetto Karl Tinzl e sui comandi della VVehrmacht per la liberazione di centotrentasei ostaggi internazionali (politici, religiosi, familiari di uomini di stato) inviati da Himmler in Val Pusteria sotto la sorveglianza di un reparto di SS. Gli ostaggi vengono liberati e consegnati agli alleati. Il crudo bilancio finale delle vittime della resistenza sudtirolese è il seguente: ventiquattro fucilati, centosessantasei deportati nei campi di concentramento, centoquaranta imprigionati.

La Resistenza nel dopoguerra. Dal maggio fino al 31 dicembre 1945 prefetto dell'Alto Adige, subordinato al governo militare alleato, è Bruno De Angelis. Oltre ai problemi di ordine pubblico vi sono numerose questioni che provocano tensione tra i gruppi linguistici e che troveranno soluzione diplomatica solo con l'accordo di Parigi del 5 settembre 1946. Vi è anzitutto la richiesta di autodeterminazione portata avanti dalla Südtiroler Volkspartei (svp), nata come partito di raccolta etnico, ma legittimato agli occhi dell'alleato proprio dalla presenza degli antinazisti sudtirolesi (Amonn, Egarter, Volgger ecc.). Per questo motivo l'svp non prende parte ai lavori del Cin provinciale, e per lo stesso motivo trecento appartenenti all'AHB rifiutano il «brevetto Alexander», in quanto la sua formulazione in italiano sarebbe pregiudiziale. In questi mesi l'operato di De Angelis viene variamente interpretato. Da parte sudtirolese è considerato il principale oppositore, in sede locale, dell'istanza di autodecisione. Da parte italiana gli si addebitano una condotta troppo conciliante e un dialogo "diretto" con la Svp che esclude il Cln locale.
Neppure l'epurazione, affidata a un comitato composto da elementi di entrambi i gruppi linguistici, avrà significativi effetti. Mentre altrove sarà la guerra .fredda ad accelerare il processo di rimozione collettiva, in Alto Adige la contrapposizione etnica eviterà un ripensamento all'interno di entrambi i gruppi linguistici. Paradossalmente l'Alto Adige è uno dei pochi casi in cui un certo nazismo potrà presentarsi come "antifascista" e un certo fascismo come "antinazista". Nel gruppo italiano la continuità nel dopoguerra di non pochi elementi (in campo amministrativo, giornalistico, culturale, giudiziario) del ventennio fascista sarà garantita dall'esigenza di difesa nazionale. Nel gruppo tedesco l'appello all'unità della minoranza porterà a una visione distorta e alla "rimozione" del recente passato nonché al reinserimento nella vita pubblica e di partito di elementi compromessi col regime nazista. Tutto ciò, oltre al contenzioso sull'assetto autonomistico della provincia, rimanderà di molti decenni l'avvio del processo di convivenza e collaborazione democratica.

Nota bibliografica:
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