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Nella Mascagni

 

 

Dov'eri quel 25 aprile? ...

Ero al campo di concentramento di Bolzano quel 25 aprile, rinchiusa in una cella del blocco di punizione, due metri e mezzo per uno. Nulla sapevamo di quanto stava accadendo nel resto dell'Italia occupata. Eravamo un centinaio, poco più, i banditi pericolosi, provenienti d'ogni dove. Numerosi i reclusi di Bolzano. Ricordo tra gli altri Mario Mascagni, mio futuro suocero, uno scheletro, era stato a San Vittore, Rinaldo Dal Fabbro rappresentante comunista nel C.L.N. di Bolzano, Ferdinando Visco Gilardi, comunista, che per mesi aveva diretto il prezioso servizio di assistenza al campo in collegamento col C.L.N.A.I., Quintino Corradini, operaio della Val di Fiemme, valoroso combattente; in uno scontro a fuoco aveva perso un occhio e si era spezzato una gamba, quando mi era possibile lo aiutavo a fare qualche passo: siamo rimasti legati come fratelli. Dal Fabbro e Gilardi tornavano dagli interrogatori irriconoscibili, e dirò come Mario Tobino ha scritto in una poesia dedicata all'eroico Mario Pasi, suo compagno di studi, impiccato il 10 marzo al Bosco dei castagni presso Belluno, «dopo sevizie che non ho piacere si sappiano». Erano le sevizie che avevano fatto scrivere a Pasi su un pezzo di carta, che ancora si conserva, uscito in qualche modo dal carcere: «Compagni, mandatemi del veleno, non resisto più». Resistette fino alla morte. Ero al campo di concentramento di Bolzano, quel 25 aprile, nel terrore e nell'allucinazione per quello che avevo visto, per quello che avevo subito, per le urla disumane che mi avevano raggiunto più volte dalle celle vicine. Ricordo la paura infinita, incontrollabile, paralizzante, troppo spietatamente alimentata dallo stato di prostrazione totale, conseguente alla fame. Una paura che si esaltava di una terribile componente psicologica: la imprevedibilità di quel che poteva avvenire, delle reazioni dei nostri aguzzini, capaci di divertirsi con le trovate estemporanee, le più impensate. Il pensiero era fisso all'inventiva del maggiore Schiffer, capo della Gestapo, pronto a offrire una sigaretta, a fare un complimento, a pestare di botte, a ordinare la tortura. E come non avere davanti agli occhi il biondo, alto, Stimpfl, SS aggregato alla Gestapo, la cui ferocia da troppi è ancora ricordata con un senso di incubo? Impossibile far uscire di mente i due criminali Otto e Mischa, padroni di vita e di morte sui confinati al blocco celle. Rientravano di notte in preda agli effetti allucinanti dell'alcool e per tutti noi era il terrore: poteva toccare ad ognuno di conoscere la loro violenza che si affidava al massiccio bastone o al nerbo di bue. Giovanissimi, Otto e Mischa, null'altro erano che esseri reietti da qualsiasi convivenza, reclutati da precoci esperienze di perversione. Agivano di loro prevalente iniziativa o erano facile strumento in mano di volontà più raffinatamente perverse? Come rispondere a domande di questo tipo, che allora, nello stato di angoscia in cui ci trovavamo neppure ci si dava il caso di porre? Ero al campo di Bolzano quel 25 aprile. Nulla sapevo, ma qualsiasi sorte mi attendevo. Certo, pensavo intensamente alla necessità di far conoscere a chi sarebbe seguito a noi che cosa era stato il fascismo, il nazismo. Mi sentivo carica di forza e di volontà: se sopravvissuta avrei urlato a tutti, senza tregua, l'orrore del campo di concentramento, la perfidia degli aguzzini, l'annientamento della personalità umana.
Sono passati oltre trent'anni. Quelle ferme intenzioni, nutrite dall'angoscia e da una residua rabbia, non si sono tramutate in realtà che in misura del tutto insufficiente. Oggi ce ne rendiamo conto. È tardi? Non dobbiamo ammetterlo. C'è ancora margine, vasto margine per intessere un discorso costruttivo, che parta dal riferimento storico, dalla riflessione sulle grandi esperienze compiute dall'umanità in questo secolo, per investire i problemi del presente, della democrazia, della vita umana, della lotta per una diversa società. A coloro i quali disprezzano la politica - giovani soprattutto sviati, disorientati - dobbiamo dire se essi rigettano qualsiasi impegno, sarà l'impegno di altri, un certo interessato impegno, una certa politica, come la storia insegna, che si occuperà di loro. Ed allora; sarà troppo tardi!

Nella Mascagni, partigiana e deportata in campo di concentramento di Bolzano, consigliere nazionale dell'ANPI. Attualmente risiede a Trento.