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Nel ricordo di Aldo Visco Gilardi:
Maria Caretti (Mariuccia) Visco Gilardi
18 dicembre 1905 – 23 ottobre 1960
Nata a Gaggio, frazione di
Poppino, a Luino – allora provincia di Como (poi di Varese) dove i genitori
si erano trasferiti provenendo da Aurano, dall’altra parte del lago – in una
casa isolata, costruita dai genitori, in mezzo ai boschi, che attraversa in
lunghe camminate per andare a scuola, con un’incantevole vista sul Lago
Maggiore. (Oggi su quel poggio c’è insediato un intero paese di villette).
Cresciuta in mezzo alla Natura, nutre un grande amore e
ammirazione per le cose semplici, le caprette che porta al pascolo e gli
altri animali domestici di cui si prende cura, l’osservazione e lo studio
del firmamento stellato e luminoso, nel buio delle notti senza luce
elettrica ().
Un’innata predisposizione al canto, che pratica nei giochi, ritmando ad
esempio, la filastrocca che è disegnata attorno alla meridiana dipinta, da
uno zio materno, sulla parete esterna della casa natale: “Fuggo veloce al
Tempo unita, Alla Terra misuro i passi, all’uomo la vita”, o – più tardi
- i pezzi d’opera che imparava a memoria, andando a teatro in ’piccionaia’,
o i canti di montagna, piuttosto che gli Inni e cantici ecclesiastici, con
voce cristallina e piena, mentre lavorava, affaccendata nelle occupazioni
domestiche.
Ultima di otto figli (sei femmine e due maschi), nata dopo che
il papà Domenico, emigrato in America per quattro anni, rientra in Patria,
cresce coccolata dalle sorelle e fratelli maggiori, ma presto si confronta
con i disagi della vita: la Prima Guerra Mondiale, gli uomini al fronte.
L’emigrazione di alcune sorelle e un fratello nella vicina Svizzera; e non
viene visto di buon occhio da qualche familiare il suo avvicinamento
all’ambiente evangelico e la sua conversione alla chiesa evangelica.
È ancora in giovane età l’incontro, rispondente ad un’affinità
elettiva, con il compagno della sua vita, in casa di amici comuni, alla
Villa Fiorita di Luino, appartenente alla famiglia dell’architetto Bossi,
frequentata dal “trio” di Amici: Aldo, Nando, Valdo: Aldo Carsaniga, Nando
Visco Gilardi, Valdo Bossi, legati da comuni interessi culturali ed
evangelici.
È del 20 giugno 1924, a La Fiorita, il bel
ritratto su pietra
litografica che il pittore
Friedrich Kollet, amico comune ivi trasferitosi,
le fece a 18 anni e mezzo, nel giorno del 20° compleanno di Nando quale dono
per lui.
Lungo e in epoca difficile il fidanzamento, tra le occupazioni
di Nando prevalentemente a Milano, dove, impiegato presso la soc. Grammofono
– la Voce del Padrone, si occupa anche, nel tempo libero, dell’ACDG
(Associazione Cristiana dei Giovani), che - oltre all’attività formativa e
culturale dei soci - organizzava anche periodiche gite ed escursioni sulle
montagne care a Mariuccia. La quale, nel frattempo collaborava
all’Orfanotrofio femminile evangelico di Intra con il pastore Malapelle.
Negli anni successivi, quando Nando gestiva l’attività libraria
ed editoriale in via Cappellari (piazza Duomo) a Milano, Mariuccia passò un
periodo a Parigi, presso amici e conoscenti, per perfezionarsi nella lingua
e in ‘coutourerie’ di alta sartoria.
Il carteggio di quel periodo è nutrito e denota comunanza
d’intenti e affinamento di interessi.
Il matrimonio viene celebrato nel 1936, dal pastore Ugo Janni,
dopo la chiusura, in parte forzata dal regime fascista, della Libreria
Editrice Gilardi & Noto. Nello stesso anno nacque Leonardo Giacomo, il loro primo
figlio. Fino al giorno del parto Mariuccia si recò al lavoro (stagionale)
presso l’agenzia di recapiti postali in cui era impiegata.
Nel 1938, a Milano, nasce Giovanni (nel giorno anniversario in
cui era nata anche la nonna materna Giovanna), e nel 1939, quando i venti di
guerra si fanno più impetuosi, Mariuccia sfolla insieme ai figli a Luino,
dove nasce la figlia Ferdinanda Maria (detta “Sisa”) e dove Nando la
raggiunge, di quando in quando, o in treno o pedalando a cavallo di una
bicicletta per oltre 5 ore.
Nel 1940, un improvviso ed imprevisto cambio di lavoro di Nando,
porta la famiglia a risiedere e vivere a Bolzano, dove si aggiunge anche il
nipote Leonardo Giuseppe, coetaneo di Sisa, l’ultima nata.
L’inserimento nella città è buono e favorito dalla conoscenza
della lingua e cultura tedesca e dal bel carattere aperto ed ospitale di
Mariuccia, ottima cuoca, brava sarta, attiva e disponibile e attenta ai
problemi e alle attese di quanti la circondano e degli altri che, ogni tanto, si
aggiungono.
La prole intanto cresce, nel 1943, con la nascita di Gabriele
Paolo, detto “Cini”.
L’intesa animica, spirituale e ideale con il marito, nonché la
fiducia reciproca, si erano affinate nel corso dei lunghi anni precedenti, e
tornano utili nei futuri frangenti tristi e di tragiche prove.
Quando ‘Giacomo’ verrà più tardi arrestato, il 19 dicembre 1944,
Mariuccia viene fermata nel palazzo del Corpo d’Armata, nella sala accanto a
quella in cui il marito veniva interrogato e sottoposto ai diversi gradi di
tortura poiché non parlava, le SS hanno voluto giocare l’arma psicologica:
intimorire e muovere a compassione la moglie, in vista del successivo
interrogatorio, e far cedere il marito con l’idea dell’arresto anche di lei.
Le SS hanno fatto transitare Nando, pesto e sanguinante dopo il trattamento
subito, davanti agli occhi di Mariuccia, per trasferirlo in un’altra stanza,
con il proposito di fargli credere che anche lei era presa nelle loro mani e
che presto avrebbe seguito il suo destino. Entrambi non cedettero, bastò
un’occhiata reciproca per intendersi e per non dar spazio a manifestazioni
spontanee ed incontrollate di affetto, disperazione, angoscia o altro.
Mariuccia vide che il marito era ancora vivo e forte. Ciò le bastò. Lui
sperò, fiducioso, che nulla di male potesse accadere alla moglie e ai figli.
Più solida di prima, “Marcella” (questo il nome di battaglia di
Mariuccia) continuò – insieme a numerose altre donne - l’attività di
solidarietà ed assistenza ai detenuti del Campo di concentramento, e alle
loro famiglie, ritessendo i contatti interrotti dall’arresto del marito e
del CLN di Bolzano. Da gennaio 1945 durante la detenzione nelle celle di
rigore del Lager di via Resia, "Giacomo" assunse il nuovo nome di battaglia
di "Paolo".
Trepidazione ed ansia sono state vissute, alla Liberazione, da
Mariuccia al reticolato dell’ingresso nell’attesa che ‘Paolo’ (questo
era il secondo nome di battaglia assunto da Nando dopo l’arresto) uscisse
dal Campo di Concentramento abbandonato dai tedeschi in fuga. Erano state
insistenti le voci di una possibile repressione mirata ed indiscriminata ai
danni dei prigionieri. Con molta calma, dopo l’apertura delle porte della
cella ove era stato rinchiuso per oltre quattro mesi, egli si era dapprima
raccolto in meditazione e preghiera di ringraziamento per la conclusione di
quella pagina di storia individuale e sociale e, poi subito dopo, si recò
negli ex uffici del Comando del Campo per rilevarvi quanta documentazione
possibile (ma era stato quasi tutto distrutto o asportato dalle SS) e per
concertare il da farsi con altri responsabili della Resistenza. Immediato
fu, infatti, il suo coinvolgimento nella vita pubblica del dopo Liberazione,
per la ricostruzione di rapporti più sereni tra la composita popolazione del
Sud Tirolo – Alto Adige, con l’incarico di Vice Prefetto politico.()
Il periodo di Bolzano viene vissuto da Mariuccia intensamente: è
duro, vivo e reale, nutrito da speranze di un avvenire migliore dopo i tempi
bui. La porta di casa è sempre stata aperta (con grande impressione e
sorpresa dei vicini) per ogni evenienza e necessità, (nonché per le
ospitalità di emergenza).
Poche le soddisfazioni terrene, ma nessuna attesa di ricompensa:
c’era la convinzione di operare per la giustizia, con l’abnegazione
consueta, nella speranza di un avvenire migliore per sé, la famiglia e per
tutti.
Dopo la Guerra, la famiglia viene allietata da altre due nuove
creature: nel 1946 nasce Aldo e nel 1948, Ettore, l’ultimo figlio.
Con quel carico di impegni e lavoro, Mariuccia mantiene le
responsabilità ad alto livello, serena, fiduciosa; segue negli studi ed
educa la prole ai valori della vita e nella responsabilità per sé e per gli
altri; organizza il coinvolgimento di tutti i figli nelle faccende
domestiche di routine (anche in quei lavori tradizionalmente definiti
femminili, rompendo così schemi preconcetti e offrendo possibilità di
apertura mentale), nutre con cura e veste tutti con decoro e dignità,
amministra con sapienza e parsimonia il bilancio familiare. Canta ad alta
voce sbrigando i lavori domestici, la mattina con le finestre aperte in ogni
stagione dell’anno, destando a volte sorpresa ed ammirazione nei vicini, per
la bella voce, ma anche per la gioia che sprigionava nelle situazioni più
semplici e considerate poco gratificanti. Lavora incessantemente dalla
mattina prima dell’alba a notte inoltrata, cercando di ritagliarsi del tempo
per delle buone letture, a cui inizia anche i bambini. E non tralascia di
occuparsi di altri bisognosi della sua attenzione.
Nuova lontananza dal marito nel 1952, Nando è a Milano per
lavoro. Il ricongiungimento familiare nel 1954 a Monza. Il trasloco è
sofferto, frequenti pianti e nostalgia di Bolzano e dei rapporti ivi
costruiti e lasciati. Il nuovo ambiente è più chiuso, bigotto e borghese. Si
gravita su Milano, per una vita di relazione ecclesiastica e culturale.
Nel 1957, Nando ha delle difficoltà di lavoro e la famiglia si
trasferisce a Sesto San Giovanni. La solidarietà di parenti, amici, fratelli
si manifesta, ma non basta per quadrare il bilancio della famiglia allargata
numerosa. Mariuccia, oltre all’accudimento del ménage familiare, si presta a
fare lavori saltuari in casa e fuori, in genere a cottimo e poco
remunerativi. ()
Nel 1959 la scoperta della malattia (un tumore al seno); inizia
un cammino della speranza tra alcuni luminari (Dogliotti a Torino),
l’ineluttabilità del responso sul cancro inoperabile e cure orrende a base
di ormoni e raggi X (Roentgenterapia). Mariuccia ha da subito coscienza
delle sue condizioni e del divenire ().
Manifesta ella stessa serenità e fiducia nell’affrontare la prova ed il
trapasso, che avviene in casa, dopo varie complicazioni e alcuni mesi di
penosa degenza a letto.
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