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Lettera ai compagni
mensile FIAP - maggio-giugno 1970

 

 

Ricordo di Ferdinando Visco Gilardi
Un eroico protagonista


L'improvvisa scomparsa, all'età di 66 anni, di Ferdinando Visco Gilardi, è lutto grande per la Resistenza. Lo conobbi nel 1944 quando Maurizio m'inviò a Bolzano, praticamente annessa da Hitler, per aiutare i nostri compagni rinchiusi in quel campo di concentramento. Ebbi quindi occasione di conoscerlo a fondo, di stringere con lui e con la sua indimenticabile moglie (passata a miglior vita in ancor giovane età) affettuosi legami di stima e di amicizia, sempre continuati nonostante qualche successiva diversità di opinione politica, e nonostante la lunga lontananza.
A Bolzano si occupava di affari; ma non era difficile individuare in lui l'uomo di studio, di origine crociana, con il quale era piacevole e fruttuoso conversare di temi politici e culturali. Ricordo ancora alcune simpatiche riunioni nella sua casa ospitale, la moglie sempre sorridente, dolce, di un'innata spiritualità (erano entrambi di religione protestante) tra una vera nidiata di figlioli, tutti belli e sorridenti, cui avevano aggiunto un altro bambino, di lontana parentela se non erro; che allevavano, amorosamente come gli altri.
La maggior parte della sua vita l'aveva trascorsa tra i libri. Aveva fatto l'editore di opere di alta cultura, destinate ovviamente ad un pubblico ristretto sotto un regime che professava l'anticultura. Aveva pubblicato, tra l'altro, nel 1934 un libro di saggi di filosofia politica di Benedetto Croce dal titolo «Orientamenti», che raggiunse presto la terza edizione. In uno di questi scritti, dedicato alla nefasta dottrina dello Spengler esaltante la superiorità della razza germanica su «i popoli di colore», (tra cui lo Spengler annoverava «gli abitanti della Russia e di una parte dell'Europa meridionale ed orientale meridionale.» cioè spagnoli, italiani, balcanici), Croce non gli risparmiava i suoi strali più feroci e definiva l'autore tedesco un «imbecille-disperato». Si capisce come la casa editrice Gilardi e Noto non potesse avere vita lunga...
Il buon Fernando aveva lasciato la sua cara Milano senza smarrirsi d'animo, senza perdere quella fiducia nel vero e nel buono ch'era la sua qualità più bella. Era giunto a Bolzano, come amava ripetermi, per puro caso, rispondendo ad un'inserzione di giornale. E si era subito fatto un'invidiabile posizione personale, una rete di amicizie sicure e fidate. Venute le ore buie per l'Italia, era entrato nella Resistenza in modo del tutto naturale, aderendo alle formazioni «Giustizia e Libertà», una adesione in realtà che aveva già dato«in pectore» molto tempo prima.
E quale eccezionale resistente egli fu! Nella Bolzano tremenda dell'inverno 1943-44, il compito più immediato era quello dell'assistenza ai detenuti del campo di concentramento, creato dai nazisti alla periferia della città. Assistenza e poi, quando il campo divenne un centro di smistamento verso i campi di sterminio della Germania organizzazione di evasioni di detenuti.
Un compito difficile, date le rigorose misure di sicurezza prese dai tedeschi, l'ambiente non favorevole, la necessità di trasferire gli evasi verso Milano e le altre grandi città del Nord attraverso la stretta di Salorno, controllata giorno e notte. Ad un certo punto dovemmo organizzare tutto, dalla fabbricazione di documenti falsi, all'occultamento degli evasi, dal vettovagliamento al reperimento di mezzi di trasporto, ecc. In quest'opera abbiamo avuto l'impareggiabile aiuto di un piccolo gruppo di persone coraggiosissime e decise, tra cui è doveroso annoverare la luminosa figura del dottor Manlio Longon (quanti ricordi...), poi arrestato e torturato dalle SS sino a morirne.
Ma quante evasioni! Da quella rocambolesca di Cinelli (che inforcò una bicicletta che gli avevano lasciato ai limiti del campo di concentramento) a quelle dell'avv. Elmo di Milano e del notaio Neri, romagnolo, gravemente feritosi nel gettarsi dal treno, dopo aver segato le sbarre delle finestre. Ad un certo tempo non avevamo modo di nasconderli, tanti erano, gli evasi; .uno di questi finì col trovar, rifugio nel garage di un fascista che, tuttavia, non lo denunciò.
Imperturbabile, attivissimo, sempre ottimista «Giacomo» fu un organizzatore di grande intelligenza e prontezza. Finì anche lui con l'essere arrestato: sopportò la nuova situazione con grande forza d'animo. In prigione, come capitò a non pochi compagni, si convertì ad un partito di estrema, e dopo la Liberazione divenne vice-prefetto di Bolzano.
Con «Giacomo» scompare una delle figure più belle della nostra Resistenza; senza dubbio una delle più nobili. Qualche anno fa mi scrisse per chiedermi informazioni e testimonianze sulla lotta clandestina a Bolzano. Aveva in animo, di rielaborare un materiale ch'era stato prodotto in modo troppo frettoloso ed inadeguato nello immediato dopoguerra. Non so se abbia portato a termine quest'impresa. Sarebbe un peccato se il silenzio e l’oblio scendessero su quelle pagine della nostra storia, e su «Giacomo» che ne fu uno dei più autorevoli protagonisti.


Enrico Serra