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L'Unità maggio 1970

La scomparsa di Ferdinando Visco Gilardi
L'approdo a Treviri
Così egli definiva la conquista del marxismo dopo un itinerario intellettuale che aveva preso le mosse da un antifascismo aristocratico - Dall'attività editoriale alla battaglia clandestina, al campo di concentramento.
La morte lo ha colto all’inizio di una nuova avventura.

Nel 1933 persisteva ancora, nel generale silenzio che il fascismo aveva imposto all’Italia, un'esile voce di libertà; era la piccola casa editrice «Gilardi e Noto», milanese, che pubblicò in quell'anno Orientamenti di Benedetto Croce, La Chiesa romana di Ernesto Buonaiuti. e Motivi spirituali platonici di Giuseppe Rensi. Forse nessuna delle opere edite dalla piccola casa editrice esprime tanto la sofferenza cui era esposto in quell’epoca lo spirito di libertà, quanto il libro del Rensi con il suo amaro idealismo, con il suo distacco tragico e aristocratico dalla realtà del momento, perfino con la dedica in epigrafe «alla memoria dell'amico Cesare Battisti», come un messaggio in chiave al lettore già avvertito e consapevole. Difatti Cesare Battisti era un nome più che legittimo da porre in epigrafe a un libro stampato in periodo fascista, dato il suo ruolo di martire della guerra ‘15-‘18: al tempo stesso la cultura antifascista «sapeva» che Cesare Battisti era stato socialista, che la sua integrità morale nulla aveva a che fare con il fascismo, e che del tutto speculativa e menzognera era la cattura postuma, fatta dal fascismo, della figura di Cesare Battisti come eroe del nazionalismo. E così il porre il nome di Battisti in epigrafe un libro era già di per sé uno sforzo di far capire al lettore, in tempi di censura sempre più violenta, che si era contro quella censura. E poi il messaggio democratico,. antidittatoriale, del libro era affidato alla classica eleganza di un discorso morale («Nell'istesso esercizio della tirannide il tiranno non è libero ma costretto: … ciò sta in relazione con il principio platonico che il malvagio, realizzando i suoi propositi, non fa quel che vuole») nonché a stupende amarissime pagine di Seneca citate in latino, e senza neppure la traduzione in calce: antifascismo per lettori di alta cultura. Ma Ferdinando Visco Gilardi, contitolare dell’ultima casa editrice «libera» che abbia pubblicato testi antifascisti sotto l’imperio del fascismo, e da buon editore fiero ancor oggi dei suoi titoli e dei suoi autori, poche settimane fa (poche settimane, cioè, prima di morire) era orgoglioso che Lorenzo Bedeschi, che sta curando l'opera omnia di Ernesto Buonaiuti, gli avesse chiesto l’autorizzazione a riprodurre La Chiesa romana: e mostrava agli amici il carteggio, come prova che la casa editrice Gilardi e Noto non soltanto aveva fatto spazio all'aristocratico pessimismo antifascista di Giuseppe Rensi, Seneca del XX secolo, ma aveva anche colto una tematica modernissima, destinata a emergere all'attualità, dopo circa un quarantennio, destinata a entrare oggi, o domani, nel dibattito politico e ideale del nostro Paese. E sta di fatto che l’itinerario spirituale di Ferdinando Visco Gilardi, come quello di altre non numerose ma significative personalità, aveva individuato già da molto tempo il rapporto tra cultura cristiana e marxismo come il nucleo centrale di un dibattito che prima o poi doveva aprirsi: l'approccio di Visco Gilardi al problema si svolgeva però sul versante del cristianesimo protestante anziché su quello del cristianesimo cattolico. Figura eminente della cultura protestante italiana era lo stesso Giuseppe Rensi, e gli storici di domani, ricostruendo la formazione culturale e morale di molti dirigenti del movimento operaio italiano vi troveranno segni importanti del protestantesimo del nostro Paese, a cominciare dal protestantesimo più antico, quello valdese. Poiché le maglie della rete si stringevano, poiché la casa editrice fu costretta a sospendere le pubblicazioni e la libreria di piazza Duomo, ritrovo di antifascisti milanesi, fu costretta a chiudere i battenti, Ferdinando Visco Gilardi ripiegò – per brevi anni – nella vita privata. L'armistizio del ’43 lo trovò a Bolzano: nell’estate del 1944 vi si trasferì il tragico campo di Fossoli, e Gilardi dopo poche settimane si trovò a organizzare quel miracolo che fu l’assistenza del Comitato di liberazione ai deportati. Fu difficile allacciare i contatti, e per riuscirvi Gilardi entrò in campo clandestinamente. La sua figura sconosciuta e il suo pseudonimo («Giacomo») diventarono in breve popolarissimi: circolavano , nel campo, le piantine disegnate da lui con l’indicazione del fiume, dei sentieri, della casetta isolata nella quale i fuggiaschi e gli evasi avrebbero trovato ricetto. Nel solo mese di ottobre del '44 furono circa una ottantina i deportati che sgusciarono di sotto ai vagoni, sbullonandone il piancito che la solerzia organizzativa di Giacomo e dei compagni ferrovieri aveva nascosto sotto la paglia che lo copriva. Dopo pochi mesi Ferdinando Visco Gilardi e Manlio Longon vennero arrestati sotto l’accusa di avere complottato contro la vita del «Gauleiter» della città: Longon morì sotto le torture, Gilardi fu portato — in condizioni che fecero temere per la sua vita — nel Campo in cui il suo nome era noto come il nome di colui che aveva aiutato centinaia di evasi, aveva stabilito il regolare servizio di corriere fra il CLN del Lager e il CLANI, aveva provveduto a sfamare gli affamati organizzando gli aiuti generosi della non numerosa popolazione antifascista della città. In quell'inverno gelido venne rinchiuso nella gelida cella numero 28 del carcere di rigore interno al Campo e, pur senza cure, sopravvisse. Anzi, guarì. Nel gennaio 1945 cominciò a gettar fuori dalla gola di lupo bigliettini scritti in una grafia minutissima, pregando di farli recapitare alla moglie e di fargli avere altra carte per scrivere. Quei biglietti passarono di mano in mano attraverso la catena delle staffette che li leggevano pazientemente, come è buona norma fare se ti affi-dano un messaggio segreto: in quanto, se il messaggio va perduto, potrai riferirlo o riassumerlo. Ma dopo qualche tempo le staffette si accorsero che i messaggi di Giacomo non potevano venire riassunti: erano messaggi indirizzati ai suoi bambini, cioè al mondo del domani, e riepilogavano l'itinerario spirituale che aveva condotto Giacomo fino alla cella numero 28. Altro, da lasciare ai figli, non aveva. Il suo approdo al marxismo lo definiva «approdo a Treviri», calcolando che se i biglietti fossero caduti in mano nemica l'ignoranza delle SS non avrebbe saputo ri-collegare il nome di Treviri con il nome di Marx.
Sopravvisse, raggiunse la propria famiglia, conservò in un tiretto quel testamento spirituale accrescendolo di tanto in tanto con riflessioni ulteriori. Nel '45 fu viceprefetto della Liberazione a Bolzano, poi crebbe, fra molte povertà materiali e molte ricchezze spirituali, una famiglia numerosissima di figli e nuore e generi e nipoti e affiliati, e aggregati di vario tipo. È scomparso nei giorni scorsi, improvvisamente, nella sua casa di Sesto San Giovanni, appena all'inizio di una nuova avventura: aveva seguito attentamente i più recenti dibattiti culturali sulla psichiatria moderna, e si era dedicato alla cura di una giovane da molti anni, e seriamente, ammalata: un caso di anoressia psichica, cioè di rifiuto al cibo, che durava da più di un decennio. Teneva la giovane con sé da meno di due mesi, le pratiche dell'affidamento non erano ancora completate: e già il miglioramento era nettamente visibile. Ne era orgoglioso, tanto quanto di avere pubblicato nel 1933 il Buonaiuti.

Laura Conti