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Voce Metodista - aprile 1970

 

Ferdinando Visco Gilardi

Non vedremo più alle riunioni annuali della nostra Conferenza il volto sereno di Ferdinando Visco Gilardi, non avremo più occasione di seguire i Suoi sottili ed onesti ragionamenti che tante difficoltà permettevano di superare e tante punte smussare; non potremo più riandare con Lui ai ricordi degli anni venti, quando grazie al Suo largo apporto la A.C.D.G. di Milano teneva nel mondo culturale cittadino una posizione non più riconquistata; non parteciperemo più alla fraterna sollecita altamente concreta opera di bene che con tanta discrezione ed efficienza sviluppava intorno a sé. Resterà in noi il ricordo del fratello e dell'amico, che con la forza dell'esempio e con la specchiata limpidezza della Sua vita è stato per tutti noi una realtà ed un conforto cristiani. Resterà nei Suoi figlioli risultato di una dedizione totale alla educazione della famiglia, intesa non come la confezione di un bell’abito di buone maniere da far indossare per le apparenze del mondo, ma come la costruzione di caratteri e di persone umanamente e cristianamente adulti. E resterà il segno del Suo contributo all'Opera di Cinisello che fu per lui il modo di realizzare nel concreto un sogno di fratellanza cristiana lungamente perseguito.
Chi scrive lo conobbe quarant’anni or sono in quella cerchia di giovani che, attorno alla personalità cristiana di Duilio Bossi svolgeva a Milano una intensa attività culturale e associativa ricercando il modo di dare alla vita di tutti i giorni quel contenuto cristiano che è così facile affermare a parole e così difficile tradurre nei fatti. Fin da allora appariva, sotto il Suo aspetto sempre sereno e sorridente, la «durezza» delle Sue posizioni, nelle quali credeva e per le quali era pronto a duramente lottare. L'ambiente dell’epoca gli rese impossibile trarre i frutti che avrebbe meritato dalla attività di editore e libraio svolta in modo seriamente impegnato; lo costrinse anzi ad abbandonarla, quando si rese conto che voler pubblicare e vendere gli scritti di Croce e di Buonaiuti non era possibile, e non volendo né cedere né transigere abbandonò tutto dedicandosi ad altre attività a lui certo meno congeniali. E così non rinunciò mai a se stesso né si piegò quando durante i foschi anni tra il '40 ed il '45 la resistenza lo vide fermamente e personalmente impegnato in una rischiosa attività, il cui frutto più bello (e più cristiano) fu l'organizzazione che seppe creare ed animare a Bolzano per dare assistenza a tutte le vittime dei nazifascisti che a Bolzano erano normalmente obbligati a far tappa. Soffrì la galera, ma ne uscì più sereno e più forte .di prima, privo di ogni rancore verso gli uomini, ma «duro» a respingere e combattere le idee distorte, ed a difendere quelle che considerava giuste. Ed in questi ultimi anni, chi è stato in qualche modo introdotto nella fitta rete di corrispondenza che intratteneva con un vasto gruppo di amici ne ha sempre tratto grande giovamento. Non sempre le idee che esponeva e gli argomenti con cui le appoggiava erano pienamente convincenti, ma sempre le sue lettere contenevano almeno due elementi che aiutavano il lettore: l'assoluta onestà dell'argomentare, priva di spirito inutilmente polemico e capace di suscitare nell'altro, non la ritorsione, ma la riflessione; e la rara capacità di suggerire spunti e presentare angolazioni dall'esame dei quali, anche chi non accettava le Sue idee, arricchiva e perfezionava le proprie. Noi sappiamo che per noi cristiani la morte è un passaggio da una vita difficile e limitata ad una vita più piena ed eterna; per questo non compiangiamo l'amico per la Sua morte improvvisa. Ma ci dispiacciamo per noi stessi, per aver perduto un fratello che era tale non solo di nome, un amico che sapeva esserlo nel modo più giusto, un uomo che è stato a molti di aiuto e, a tutti coloro che lo hanno conosciuto, conforto per visiona più serenamente cristiana della vita.

n.d.m. (Niso De Michelis)